Tredici maniere di guardare un merlo

Ieri sera, parcheggiata l’auto, stavamo tornando a casa a mezzanotte (che è un’ora piuttosto comune per coloro che sono abituati a frequentare un corso in un Dojo), quando, all’improvviso, il fischio di un merlo ha squarciato il velo del silenzio nella notte.

Una specie di inattesa poesia , ipnotica, modulata, che ci ha costretti a fermarci per qualche minuto sullo sporco marciapiede di una anonima strada di periferia di una città post-industriale del mondo cosiddetto “sviluppato” occidentale.

Stavamo tornando da una lezione di Aikido in cui abbiamo cercato di allenare la nostra intenzione, rendendola il più chiara possibile ai nostri compagni attraverso gesti che man mano diventavano sempre più piccoli, eppure reali e tangibili.

Mi è venuta in mente la breve raccolta di tredici poesie del poeta americano Wallace Stevens, “Tredici maniere di guardare un merlo“, e questo non è accaduto solo perché stavamo fissando col naso all’insù la sagoma di un merlo che fischiava, né perché il mio cognome sia in effetti…Merli.

Le poesie di Stevens sono ispirate agli haiku giapponesi, brevi versi densi di significato. A volte criptici. Il quarto poemetto recita pressapoco così (come sempre, la lingua originale è più incisiva, pazienza):

Un uomo e una donna
Sono uno.
Un uomo e una donna e un merlo
Sono uno.

Eravamo lì, un uomo e una donna, da soli nella notte. E un merlo stava cantando per noi. Solo per noi

Quante volte leggiamo, ascoltiamo e ripetiamo automaticamente la frase “siamo uno/we are one”? Quante volte abbiamo sentito la rauca voce di Umberto Tozzi cantare “Gli altri siamo noi” come sottofondo di attività caritative più o meno “pelose”?

Ma quanto siamo consapevoli del vero significato di “essere una cosa sola”?

Un semplice fischio, per quanto affascinante di un uccello molto ordinario, può insegnare molte cose.

Che quando i merli cantano di notte, la primavera sta arrivando e la vita riprende vigorosamente dopo l’inverno, indipendentemente dagli sforzi o dall’indifferenza dell’umanità.

Che la poesia è ovunque, anche agli incroci di strade sporche in città oscure e inquinate.

Che la bellezza, e così ogni sentimento genuino, è data spontaneamente e gratuitamente.

Che la maestà di questo flusso spontaneo di grazia è canalizzata attraverso mezzi e strumenti molto umili e molto fragili e che richiedono quindi il nostro sforzo e impegno per essere protetti e preservati.

Che al di là di ogni singola difficoltà e disagio che possiamo vivere, c’è qualcosa che sovrasta noi e i nostri problemi con la sua bellezza… Se solo accettiamo di essere uno con essa.

Quando il merlo ha iniziato a cantare, tutte le mie preoccupazioni per una delle settimane più difficili degli ultimi anni che ho vissuto nel mio lavoro, sono scomparse. Un singolo fischio mi ha svegliato, portandomi al livello reale di ciò che è veramente importante.

Non so se ho mai veramente sperimentato il concetto di takemusu durante la pratica, né se mai lo sperimenterò ma di sicuro credo che il principio del takemusu sia insegnato ad alta voce dal canto di un merlo.

 

Disclaimer Photo by Nicolas DC on Unsplash

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